Migranti devono conformarsi ai nostri valori, parola di Cassazione

Una pronuncia che farà discutere e che dividerà le opinioni, non solo tra i differenti schieramenti politici, quella emanata ieri dalla I Sezione penale della Cassazione.

Immediate le reazioni da parte di alcuni esponenti dei partiti. Nell’Italia che si tinge di differenti culture, ma che stenta ad accettare la metamorfosi, il massimo consesso ha rilevato “l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi”, nonché di verificare preventivamente la conciliabilità della propria condotta con i principi che regolano la società in cui pretende di convivere.
In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di gruppi differenti richiede l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. A mente dell’art. 2 della Carta Costituzionale, l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, bensì il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. L’immigrato che decide di stabilirsi in una società in cui è consapevole che i valori di riferimento sono differenti da quella da cui proviene, ne impone il rispetto. Non è infine tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, anche se leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante.
Questo quanto riportato nella sentenza n. 24084 della I sezione Penale, con la quale la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indiano Sikh, condannato a duemila euro di ammenda per aver portato, fuori dalla propria abitazione, e senza alcun giustificato motivo, un coltello di quasi 20 centimetri, quindi considerato idoneo all’offesa.
Per essere scriminato, l’indiano aveva invocato il giustificato motivo e, nello specifico, aveva sostenuto che il coltello in questione doveva considerarsi un simbolo religioso e la condotta del portarlo appresso l’adempimento del relativo dovere. Ma i giudici ermellini, nel confermare la condanna, evidenziano che la decisione, presa dall’immigrato, di stabilirsi in una società dove i valori di riferimento sono diversi rispetto a quella di provenienza, ne impone il rispetto e non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppur leciti nel paese di origine, conduca alla violazione consapevole di quelli della società ospitante.
Nel motivare il dictum, gli ermellini hanno richiamato, oltre alla legislazione italiana, anche l’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale stabilisce che la libertà di manifestare la propria religione può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, ovvero per la protezione dei diritti e della libertà altrui.
Immediate le reazioni da parte di alcuni esponenti politici. La deputata Daniela Santanché (Forza Italia), esprimendosi con favore alla decisione, ha ricalcato che chi è ospite in Italia ha il dovere di seguire le regole che ci impongono i codici e la Costituzione. Identico giudizio per Fabio Rampelli (capogruppo di Fratelli d’Italia - Alleanza nazionale), ma aggiungendo, categorico, che “O si rispettano le leggi o non c’è spazio”. Dal versante opposto, Emanuele Fiano (responsabile Sicurezza del Partito democratico), formula l’auspicio che il verdetto non venga strumentalizzato a fini differenti da quelli propri e, parlando al plurale, ha concluso “A noi preoccupa la fanfara della xenofobia che userà una sentenza che difende un corretto uso del diritto di tutti come un’arma nei confronti di qualcuno”.